NOI MASSONI, UOMINI LIBERI (4)

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«Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.»

Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968)

Salvatore Quasimodo è considerato uno dei più grandi poeti del ‘900. Nel 1959 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura. La sua opera poetica è inquadrata nella prestigiosa corrente letteraria dell’ermetismo, inaugurata da altri due grandi letterati Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale, ai quali occorre aggiungere Alfonso Gatto e Mario Luzi e i francesi Mallarmè, Rimbaud, Valery e Verlaine. I sinonimi di ermetico (fonte: Treccani) sono: arcano, enigmatico, misterioso, oscuro. Il linguaggio poetico abbandona quindi i comodi rifugi dello sfoggio di parole erudite e della fuga romantica dalla realtà per avventurarsi nella ricerca della parola essenziale e della sintesi perfetta del messaggio poetico, solo all’apparenza criptico. L’ispirazione nasce in un secolo dominato da due conflitti mondiali. La Prima Guerra Mondiale si svolse nelle trincee, trasformatesi nello scannatoio d’un’intera generazione che fu vittima della degenerazione dei nazionalismi. La seconda fu combattuta contro il “male assoluto”, scaturito dall’odio razziale nei confronti degli Ebrei e da una malsana volontà di riscatto di una nazione sconfitta. L’eredità di quel massacro fu un’Europa debole e divisa dalla “cortina di ferro”. Un’atmosfera cupa, dominata dalla solitudine, dall’indifferenza, dall’irrazionalità, dall’immobilità. Così nascono i capolavori di Quasimodo come la breve poesia in epigrafe a questo scritto, che reca un messaggio di sconvolgente attualità. L’Uomo è solo, incapace di reagire al malessere che lo sta circondando. Viene colpito da un raggio di quella Luce che dovrebbe illuminare le menti e scaldare i cuori, ma è troppo tardi, le tenebre segnano il suo inesorabile destino.

“E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese.”

La seconda poesia citata è un implacabile atto d’accusa del poeta contro l’assurdità della lotta armata tra i popoli. Di fronte allo scempio dei valori umani Quasimodo si vede costretto a rinunciare alla sua “arma” lirica per appoggiarla sul ramo di un salice piangente mentre infuria la rabbia cieca ed assassina di criminali in divisa e le donne piangono i loro figli trucidati e inchiodati come poveri Cristi.

Non possiamo evitare di calarla nei giorni nostri, in una terra martoriata situata nel cuore d’Europa, dove in ragione della forza si sta tentando di soverchiare la forza della ragione e il diritto di un popolo a vivere in pace e in libertà.

NOTA Salvatore Quasimodo venne iniziato alla Massoneria il 31 marzo del 1922, all’età di venti anni, presso la R.L. “Arnaldo da Brescia” di Licata, la stessa frequentata da suo padre Gaetano, capostazione di Modica. La sua scelta iniziatica non era nota alla famiglia, ma comunque non è stata mai ufficialmente sconfessata.

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