Nostra Sorella Saman

//Nostra Sorella Saman

Saman, una meravigliosa creatura di diciotto anni, probabilmente assassinata dalla fanatica ferocia di uno zio violento e dalla complice ignoranza dei genitori, giace nascosta tra piante, arbusti e germogli in prossimità di una serra. Una maledetta primavera, fredda come il cuore dei suoi pavidi familiari in fuga, l’ha voluta tenere stretta a sé in una fossa ricoperta con la terra d’Italia, la nazione considerata culla del diritto e ammirata per la sua Costituzione, ritenuta la “più bella del mondo”. I principali giornali hanno diffuso due immagini di lei, assai diverse fra loro, tranne che per un particolare: un paio di splendidi occhi profondi, ansiosi di conoscere il mondo e le persone che, oltre ad accoglierla a parole, avrebbero dovuto anche proteggerla. Nella prima sembra imbragata in un vestiario creato a bella posta per nascondere la grazia del corpo e del viso di una giovane donna. Nella seconda indossa un abito moderno ed è truccata come una ragazza occidentale che, compiuta la maggiore età, desidera introdursi, senza l’onta di stigmi medievali, nella società del Paese d’adozione. Un sogno infranto dall’infamia di uno pseudo giustiziere, emulo degli integralisti che seminano il terrore nel mondo, in nome di un Dio e di un Profeta che non conoscono, di cui travisano parole dette e trascritte in tempi lontani dai nostri, confondendo la religione con la licenza d’uccidere.

L’abominevole assassinio della fanciulla è un “femminicidio”, il peggiore dei “femminicidi”. L’autore del delitto ha reciso, senza una ragione lontanamente valida, un fiore da poco sbocciato, una speranza di vita appena accennata, un potenziale seme che avrebbe arricchito il frutto della nostra identità nazionale con le sue dolci fragranze orientali. “Accogliere” non significa soltanto urlare ritmicamente uno slogan in una piazza, né plaudire senza riserve coloro che riempiono le stive delle navi di persone vittime di despoti o di governanti incapaci, limitandosi a scaricarle in un porto dell’estremo sud dell’Italia, né tanto meno gridare ai quattro venti che se si pretende dall’Unione Europea un’equa distribuzione si diventa, di colpo, xenofobi e razzisti. “Accogliere” significa, soprattutto, amare il prossimo, supportare i più deboli, aiutare lo straniero ad integrarsi, garantirgli un lavoro onesto ed equamente retribuito, proteggere le donne e i bambini dalla violenza di chi impedisce di valorizzarne le potenzialità, far rispettare i valori comuni e le leggi che si è data la nostra nazione, mettere a disposizione risorse umane ed economiche adeguate a combattere l’ignoranza, il pregiudizio e tutte le possibili discriminazioni.

La quartina più significativa dell’“Inno alla gioia” di Beethoven recita: “Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio al mondo intero! Fratelli, sopra la volta stellata deve certo abitare un padre amorevole”. A Saman Habbas sono mancate le moltitudini di fratelli gioiosi che l’amassero, la rispettassero e la difendessero dal male profondo e occulto che mina la nostra Società, non di rado ipocrita con se stessa, tentata da un nichilismo torvo, insensibile ed inquietante. Si sente persino qualcuno asserire che l’“infibulazione” sia parte integrante di una “cultura”, sia pur diversa dalla nostra. Matthew Arnold, poeta ed educatore inglese del XIX secolo, scrisse : “La cultura è la passione per la dolcezza e la luce, e (ciò che più conta) la passione di farle prevalere”. Di Saman ci rimarrà la dolcezza del suo giovane viso e la luce dei suoi grandi occhi: purtroppo ciò che manca ai popoli dell’Occidente è la passione, indispensabile strumento per agire al fine di far prevalere l’amore sull’odio e la conoscenza sull’ignoranza.

Stasera guardando il cielo vedremo la stellina di Saman brillare nel firmamento per ricordarci che sopra le singole e discutibili “culture” locali vi è la vera e unica Cultura ovvero la Luce universale dell’Amore fraterno. “Solo l’uomo colto è libero” ammoniva Epitteto, filosofo greco antico del I° secolo d.C., figlio di una schiava.

Il Grande Oratore della GLLI

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